giovedì 14 febbraio 2019

Anima Bianca




Anima Bianca

di Lorenzo Sartori




L’orologio alla parete segnava ormai le 4, l’ora del suo appuntamento. Ancora una manciata di secondi e la lancetta, con il suo ticchettio molesto, avrebbe completato il giro. Valentina attese quel preciso istante prima consultare lo Swarovski che aveva al polso, un regalo di Mattia per il suo ventottesimo compleanno. Era nervosa e anche un po’ spaventata all’idea di sottoporsi a quel piccolo intervento.
“Non sentirai niente” l’aveva rassicurata Gaia, che aveva cercato in rete qualche informazione a riguardo. Peccato che l’amica, dopo averla convinta a rivolgersi a quella clinica, non avesse potuto accompagnarla.
La lancetta dei secondi fece un altro giro mentre nella sua testa i pensieri presero a danzare in modo convulso, creandole un senso di smarrimento e uno sgradevole vuoto nello stomaco. Sospirò. Un sospiro doloroso. La dottoressa Frost avrebbe fatto ordine, ripulito i ricordi che non la facevano più dormire la notte e sorridere di giorno. Sarebbe tornata la Valentina di prima. Felice e spensierata come sempre. 
“Vedrai, via il ricordo e via il senso di colpa. Sarà come se non lo avessi mai tradito.” Gaia faceva tutto facile ma forse aveva ragione. Non avrebbe potuto spendere meglio quei 999 euro che la clinica Oblio le aveva già prelevato dalla carta di credito. Pagamento anticipato, nessun rimborso. Dopotutto si trattava di un’offerta speciale legata alla festa di San Valentino.
Via il ricordo, via il senso di colpa. Anche se forse non era solo il senso di colpa a tormentarla, ma il dubbio. Prima di quella notte, in cui aveva letteralmente perso il controllo di sé e della sua vita, si sentiva la donna più appagata del mondo. Mattia era l’uomo che aveva sempre desiderato avere al suo fianco: bello, affascinante, colto, sicuro di sé. E l’amava da morire. E poi sì, anche con una rispettabilissima posizione sociale, ma non era la cosa più importante.
No, non era solo il senso di colpa a tormentarla ma il crollo delle certezze che l’avevano guidata fin lì.
Da quando la sua serenità era andata in frantumi per colpa di quel maledetto incontro non era più certa di niente. Non riusciva più a riconoscersi, ad accettarsi. E si faceva paura. Era bastato poco, dopotutto. Erano bastati un bel sorriso e un pugno di parole a farla sentire incompleta e pronta a compromettere tutto ciò che fino a quel momento considerava la sua solida esistenza.
Valentina non trattenne un gemito e d’istinto portò la mano alla bocca. Osservò in imbarazzo per la prima volta l’unica altra persona presente nella sala d’aspetto: una signora elegante, sui sessanta, con gli occhi cerchiati di dolore e lo sguardo perso nel vuoto. Non aveva dubbi che fosse lì per rimuovere un ricordo infelice, probabilmente legato alla perdita di una persona cara. Aveva letto sul sito della clinica che per i lutti il procedimento era complesso, quasi chirurgico e richiedeva più sedute affinché venissero cauterizzate le emozioni negative e i sensi di colpa che rendevano la perdita ancora più insopportabile.
La clinica Oblio era l’unica specializzata in città nel rimuovere ricordi brutti o dolorosi o semplicemente imbarazzanti, estirparli dalla psiche e dal cuore. Il suo perse un battito quando la porta dell’ambulatorio medico si aprì. Uscirono una giovane donna e un bambino di circa dieci anni e per un attimo Valentina si chiese chi dei due fosse stato sottoposto alla rimozione.
Una signora secca e bionda dentro a un abbondante camice bianco le fece segno di accomodarsi. Era la dottoressa Frost, identica a come l’aveva vista sul sito internet. Il sorriso da pubblicità della dottoressa svanì all’improvviso coperto dal volto di Alessio, così nitido da apparire reale. Da farla desistere per un attimo di alzarsi dalla poltroncina della sala d’aspetto. 
Forse avrebbe potuto concedere a quel giovane, che le aveva fatto conoscere il lato più oscuro di sé, un ultimo pensiero. Un pensiero macchiato di desiderio. Pochi minuti e sarebbe sparito per sempre dalla sua vita. Sì, avrebbe potuto concederglielo, lasciarsi andare a un’ultima fantasia e questa volta senza correre rischi e senza alcun peso sulla coscienza. Abbandonarsi a un estremo ricordo di quella notte. Dopotutto era stata magica. Se solo nella vita che si era scelta ci fosse stato spazio per la magia.
“Si accomodi” le disse la dottoressa. Valentina osservò la poltrona bianca. Tutto era bianco lì dentro: le pareti, gli strani macchinari, la scrivania. E bianca sarebbe tornata anche la sua anima.  
La dottoressa Frost le applicò alle tempie due piccole sfere perlacee. Le sentì aderire e penetrarle nella pelle come se avessero rilasciato dei microscopici tentacoli.
“Nel modulo che ha compilato online lei dice di voler rimuovere tutto ciò che riguarda un certo Alessio. Non abbiamo il cognome, mi pare.”
La dottoressa la fissava con uno sguardo che a Valentina parve malizioso. O forse era la vergogna a darle questa impressione. Si ritrovò il volto di quel ragazzo di nuovo davanti, ma ora la sua immagine era racchiusa dentro lo schermo di un tablet.
“Si tratta di questa persona, corretto?” chiese la Frost.
Valentina assentì.
“Bene. Sarà una cosa molto veloce” commentò soddisfatta la dottoressa, spostando lo sguardo verso un monitor. “Lo ha conosciuto da poco e nonostante lo abbia pensato parecchio in questi ultimi giorni le diramazioni da resettare non sono molte.”
Valentina schiarì la voce ma non riuscì nemmeno a schiudere le labbra. La dottoressa Frost stava sondando nei suoi ricordi, cercando ciò che andava cancellato, estirpato senza lasciare tracce.
“È stata solo…”
“Non deve giustificarsi, signorina. Ha idea di quante rimozioni di questo tipo esegua ogni giorno? Siamo qui per questo, per far sentire meglio le persone. Alleggeriamo le loro anime, le ripuliamo da pesi che a volte sono insostenibili e che poi vanno a compromettere psiche e corpo. Ci si può ammalare di dolore e di sensi di colpa, lo sa?”
Valentina deglutì e per un attimo chiuse gli occhi mentre la sua mente tornò a quella notte e alla camera d’albergo. A quel pezzo di lei che si era perso per sempre tra le braccia di lui. E che ora, ne era certa quanto sollevata, non avrebbe più fatto ritorno. Avrebbe cancellato tutto di Alessio, le linee regolari e piacevoli del suo volto, il sorriso furbo e il modo in cui i suoi occhi scuri l’avevano proiettata al centro dell’universo. Dimenticato la trasparenza della sua voce, l’accento indefinibile e quel modo quasi infantile di raccontare storie buffe. Sradicato dal suo ventre il brivido di piacere causato dalle sue labbra. E quell’orda di godimento così incontrollato e intenso che con Mattia non aveva mai provato. Avrebbe soprattutto dimenticato per sempre il suo respiro caldo sopra i suoi seni umidi di sudore dopo che lo avevano fatto per l’ultima volta. E quella frase quasi strozzata e così banale: “ti amo”.
“Mi sposo tra tre settimane” disse a mezza voce, per focalizzarsi sulla cosa più importante. La ragione per cui ora era lì, alla clinica Oblio.
“Ne sono felice” commentò la dottoressa, impegnata a cercare qualcosa in quel monitor.
“È che… che non riuscivo più a tenere tutto dentro, stavo scoppiando. Non riuscivo più a mentirgli” continuò Valentina, la voce rotta “io lo amo. Mattia è tutto per me. Lui è il mio mondo.”
“Tra meno di cinque minuti lei non ricorderà più nulla di questo Alessio. E di ciò che c’è stato tra voi. Il suo sarà un matrimonio felice e senza segreti, glielo prometto” aggiunse la dottoressa con un ampio sorriso.
Valentina singhiozzò, mentre una lacrima le rigò una guancia.
“E non ricorderà nemmeno perché è venuta qui. Quando si alzerà da quella poltrona sarà convinta di avere rimosso solo un ricordo che la faceva soffrire circa una persona a lei cara che non c’è più. Può stare tranquilla. E ora chiuda gli occhi e si rilassi. Non si accorgerà di nulla.”
Valentina li chiuse e sentì i piccoli tentacoli farsi strada nelle tempie. Fastidio più che dolore.
“Ecco fatto” disse la dottoressa qualche secondo dopo. “Può riaprire gli occhi.”
Valentina li sbarrò e per un attimo rimase abbagliata dalla luce posizionata sopra la sua testa. Era confusa. Non capiva per quale ragione si trovasse lì seduta.
“Ora sta meglio?” le chiese la Frost rimuovendole le due piccole sfere dalle tempie.
La ragazza annuì. Stava bene. Si sentiva leggera e senza preoccupazioni a parte quella di non comprendere il motivo per cui era venuta in quel luogo. Si ricordava di essersi recata alla clinica, di aver parlato con la dottoressa e di essersi seduta sulla poltrona bianca, ma non sapeva spiegarsi perché.
“Ora il suo lutto è stato rielaborato” disse la Frost.
“Lutto?”
“È venuta qui per rimuovere un ricordo che la faceva soffrire. Ora però non ci pensi più. Viva la sua vita serenamente.”
“Posso andare?”
“Ma certo. Ma stia attenta ai capogiri”.
Valentina si alzò. Si sentiva sollevata, felice. Qualunque cosa, qualunque ricordo le avessero rimosso dalla mente, ora non era importante. Era una sensazione bellissima. Il suo pensiero andò a Mattia, agli ultimi preparativi per il matrimonio. Non avevano ancora spedito le partecipazioni e poi c’era da avvisare subito la wedding planner delle modifiche che lei e Mattia avevano deciso circa gli addobbi la sera prima. Lo avrebbe chiamato appena uscita di lì.
Una domanda le attraversò il cervello all’improvviso come un pedone che senza preavviso ti si para davanti al parabrezza. Perché lui non l’aveva accompagnata in clinica? Perché era venuta da sola? In un attimo tutto divenne nero e il suo corpo smise di avere un peso.
Quando riprese i sensi si accorse che qualcuno la stava sostenendo. Un uomo robusto, un infermiere, la fece sedere in una delle poltroncine della sala d’aspetto.
“Stia qui per una ventina di minuti, ok?” le raccomandò prima di congedarsi. Le girava la testa, ma una sensazione di benessere le avvolgeva mente e corpo. Chissà, forse le avevano somministrato qualche strano tranquillante. Qualche droga. Fece un lungo respiro cercando di mettere a fuoco il tizio seduto davanti a lei.
Adesso che iniziava a riprendere il pieno controllo di sé si accorse che il ragazzo di fronte le stava lanciando strane occhiate come se stesse osservando un fantasma. Sembrava intimorito. Lo aveva di certo spaventato con quello spettacolo imbarazzante.
“Non è doloroso” bofonchiò, sentendosi in dovere di rassicurarlo. “È solo che poi ti gira la testa. Ma è piacevole”. Le veniva quasi da ridere tanto si sentiva euforica. Leggera.
“Hai fatto la rimozione?” Le chiese serio lui. I suoi occhi scuri, profondi, la scrutarono con attenzione.
“Sì, ho rimosso un ricordo legato a un lutto”.
“Un lutto? E di chi?”
“Non lo so. Non lo ricordo. È per questo che sono qui. Per dimenticare”.
“Dimenticare un momento legato a una persona a cui hai voluto bene? Non è un po’…”
Egoista. Valentina era certa che avrebbe voluto aggiungere egoista. Si strinse nelle spalle. Ora stava meglio e non aveva alcuna intenzione di sentirsi in colpa. Chissà quanto aveva sofferto per quella perdita prima di prendere la decisione di venire lì. Osservò il giovane. Aveva circa trent’anni ed era di bell’aspetto. Decisamente di bell’aspetto.
“E tu per quale ragione sei qui?”
Lui esitò un istante. Inclinò il capo per fissarla meglio negli occhi. “Per dimenticare una.”
Le venne da ridere. Le sembrava una cosa buffa. Un conto era voler dimenticare un ricordo spiacevole che rendeva insopportabile la perdita di una persona cara, un conto era voler scordare qualcuna per cui avevi preso una sbandata. Gli uomini sono degli immaturi, pensò.
“Ti ha lasciato?”
Lui fu lì per dire qualcosa, poi si trattenne.
“Se non vuoi dirmelo non importa era solo per fare due chiacchiere” commentò delusa.  “Devo aspettare qui ancora per qualche minuto” aggiunse sbuffando e spostando la sua attenzione all’orologio alla parete.
“Sì, boh, non lo so” mugugnò lui in evidente imbarazzo.
“Si, boh o non lo sai?” Scherzò lei. “Mi pare di capire che non fosse un grande amore” sentenziò. Si sentiva meglio, la testa aveva smesso di girarle e ingaggiare quel tizio le dava uno strano piacere.
“Non posso proprio dire che mi abbia lasciato. La nostra storia è durata solo una notte.”
“Solo una notte?”
“Una notte meravigliosa.”
“E poi?” chiese divertita.
“Non c’è stato un poi. La mattina quando mi sono svegliato se n’era già andata”. Il giovane distolse lo sguardo. “Ma c’è stato un prima. Quella sera abbiamo camminato a lungo e parlato per ore di cose che si raccontano solo a quegli estranei che ti sembra di conoscere da una vita. Ti è mai capitato?”
Valentina scosse la testa. Neanche ubriaca si sarebbe lasciata andare a certe confidenze con una persona conosciuta da poco.
“Abbiamo attraversato mezza città senza nemmeno accorgercene. E poi, sfiniti, abbiamo preso un taxi. Ma nessuno dei due aveva voglia di tornarsene a casa.”
“E da quella notte non l’hai più rivista?”
“No” rispose lui dopo un attimo di esitazione.
“Se sei qui è perché ti ha proprio spezzato il cuore.”
Il giovane assentì con un lento movimento della testa. Gli occhi fissi nei suoi.
“La ragazza più straordinaria che abbia mai incontrato. Purtroppo ho saputo che sta per sposarsi con qualcun altro.”
“Oh, mio dio” scandì Valentina ridacchiando. Era una storia così grottesca, una cosa da commedia americana. Che tipo di ragazza poteva mai essere una che mette le corna al suo futuro marito a pochi giorni dalle nozze? E come si può perdere la testa per una tipa del genere?
“Non è per giudicare, ma una così è meglio perderla che trovarla, sai? Anche se forse dovresti tenerti il ricordo di quella notte. Dopo tutto, per quanto possa fare male, si tratta di un bel ricordo, ti pare?” 
“Mmmh, sì, forse hai ragione. Comunque ero qui solo per prendere informazioni” disse lui agitando il depliant che teneva in mano. Era così stropicciato che in quelle pieghe Valentina poté vedere il tormento di quell’uomo. E per la prima volta provò tenerezza e non solo una divertita curiosità.
“Comunque sono bravi, veloci e non è per niente doloroso. Sono un po’ cari, ma se vuoi toglierti dalla testa questa tizia, se quel ricordo continua a tormentarti, credo che sia il posto giusto. Poi vedrai che starai meglio. Io comunque sono Valentina.”
“Alessio, piacere” disse lui alzandosi in piedi per stringerle la mano e facendole provare uno strano senso di calore.
“Senti” azzardò Alessio non senza imbarazzo “ti andrebbe un caffè? Non questo della macchinetta che fa un po’ schifo, ma al bar qua sotto.”
Valentina si trattenne dal ridere. Ci stava provando? Ci stava davvero provando con lei? Era lì per dimenticare una tizia conosciuta una notte e ora stava cercando di rimorchiarla con la scusa di un caffè. Trovava tutta quella situazione piuttosto ridicola. Lusinghiera, ma terribilmente ridicola. E un po’ folle.
“Un caffè?”

“Un caffè” confermò lui.   









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