Anima
Bianca
di
Lorenzo Sartori
L’orologio
alla parete segnava ormai le 4, l’ora del suo appuntamento. Ancora una manciata
di secondi e la lancetta, con il suo ticchettio molesto, avrebbe completato il
giro. Valentina attese quel preciso istante prima consultare lo Swarovski che
aveva al polso, un regalo di Mattia per il suo ventottesimo compleanno. Era
nervosa e anche un po’ spaventata all’idea di sottoporsi a quel piccolo intervento.
“Non
sentirai niente” l’aveva rassicurata Gaia, che aveva cercato in rete qualche
informazione a riguardo. Peccato che l’amica, dopo averla convinta a rivolgersi
a quella clinica, non avesse potuto accompagnarla.
La
lancetta dei secondi fece un altro giro mentre nella sua testa i pensieri presero
a danzare in modo convulso, creandole un senso di smarrimento e uno sgradevole
vuoto nello stomaco. Sospirò. Un sospiro doloroso. La dottoressa Frost avrebbe
fatto ordine, ripulito i ricordi che non la facevano più dormire la notte e
sorridere di giorno. Sarebbe tornata la Valentina di prima. Felice e
spensierata come sempre.
“Vedrai,
via il ricordo e via il senso di colpa. Sarà come se non lo avessi mai
tradito.” Gaia faceva tutto facile ma forse aveva ragione. Non avrebbe potuto
spendere meglio quei 999 euro che la clinica Oblio le aveva già prelevato dalla
carta di credito. Pagamento anticipato, nessun rimborso. Dopotutto si trattava
di un’offerta speciale legata alla festa di San Valentino.
Via
il ricordo, via il senso di colpa. Anche se forse non era solo il senso di
colpa a tormentarla, ma il dubbio. Prima di quella notte, in cui aveva
letteralmente perso il controllo di sé e della sua vita, si sentiva la donna
più appagata del mondo. Mattia era l’uomo che aveva sempre desiderato avere al
suo fianco: bello, affascinante, colto, sicuro di sé. E l’amava da morire. E poi
sì, anche con una rispettabilissima posizione sociale, ma non era la cosa più
importante.
No,
non era solo il senso di colpa a tormentarla ma il crollo delle certezze che
l’avevano guidata fin lì.
Da
quando la sua serenità era andata in frantumi per colpa di quel maledetto
incontro non era più certa di niente. Non riusciva più a riconoscersi, ad
accettarsi. E si faceva paura. Era bastato poco, dopotutto. Erano bastati un bel
sorriso e un pugno di parole a farla sentire incompleta e pronta a
compromettere tutto ciò che fino a quel momento considerava la sua solida esistenza.
Valentina
non trattenne un gemito e d’istinto portò la mano alla bocca. Osservò in
imbarazzo per la prima volta l’unica altra persona presente nella sala d’aspetto:
una signora elegante, sui sessanta, con gli occhi cerchiati di dolore e lo
sguardo perso nel vuoto. Non aveva dubbi che fosse lì per rimuovere un ricordo infelice,
probabilmente legato alla perdita di una persona cara. Aveva letto sul sito
della clinica che per i lutti il procedimento era complesso, quasi chirurgico e
richiedeva più sedute affinché venissero cauterizzate le emozioni negative e i
sensi di colpa che rendevano la perdita ancora più insopportabile.
La
clinica Oblio era l’unica specializzata in città nel rimuovere ricordi brutti o
dolorosi o semplicemente imbarazzanti, estirparli dalla psiche e dal cuore. Il
suo perse un battito quando la porta dell’ambulatorio medico si aprì. Uscirono
una giovane donna e un bambino di circa dieci anni e per un attimo Valentina si
chiese chi dei due fosse stato sottoposto alla rimozione.
Una
signora secca e bionda dentro a un abbondante camice bianco le fece segno di
accomodarsi. Era la dottoressa Frost, identica a come l’aveva vista sul sito
internet. Il sorriso da pubblicità della dottoressa svanì all’improvviso
coperto dal volto di Alessio, così nitido da apparire reale. Da farla desistere
per un attimo di alzarsi dalla poltroncina della sala d’aspetto.
Forse
avrebbe potuto concedere a quel giovane, che le aveva fatto conoscere il lato
più oscuro di sé, un ultimo pensiero. Un pensiero macchiato di desiderio. Pochi
minuti e sarebbe sparito per sempre dalla sua vita. Sì, avrebbe potuto
concederglielo, lasciarsi andare a un’ultima fantasia e questa volta senza
correre rischi e senza alcun peso sulla coscienza. Abbandonarsi a un estremo
ricordo di quella notte. Dopotutto era stata magica. Se solo nella vita che si
era scelta ci fosse stato spazio per la magia.
“Si
accomodi” le disse la dottoressa. Valentina osservò la poltrona bianca. Tutto
era bianco lì dentro: le pareti, gli strani macchinari, la scrivania. E bianca
sarebbe tornata anche la sua anima.
La
dottoressa Frost le applicò alle tempie due piccole sfere perlacee. Le sentì
aderire e penetrarle nella pelle come se avessero rilasciato dei microscopici
tentacoli.
“Nel
modulo che ha compilato online lei dice di voler rimuovere tutto ciò che
riguarda un certo Alessio. Non abbiamo il cognome, mi pare.”
La
dottoressa la fissava con uno sguardo che a Valentina parve malizioso. O forse
era la vergogna a darle questa impressione. Si ritrovò il volto di quel ragazzo
di nuovo davanti, ma ora la sua immagine era racchiusa dentro lo schermo di un
tablet.
“Si
tratta di questa persona, corretto?” chiese la Frost.
Valentina
assentì.
“Bene.
Sarà una cosa molto veloce” commentò soddisfatta la dottoressa, spostando lo
sguardo verso un monitor. “Lo ha conosciuto da poco e nonostante lo abbia
pensato parecchio in questi ultimi giorni le diramazioni da resettare non sono
molte.”
Valentina
schiarì la voce ma non riuscì nemmeno a schiudere le labbra. La dottoressa Frost
stava sondando nei suoi ricordi, cercando ciò che andava cancellato, estirpato
senza lasciare tracce.
“È
stata solo…”
“Non
deve giustificarsi, signorina. Ha idea di quante rimozioni di questo tipo
esegua ogni giorno? Siamo qui per questo, per far sentire meglio le persone. Alleggeriamo
le loro anime, le ripuliamo da pesi che a volte sono insostenibili e che poi
vanno a compromettere psiche e corpo. Ci si può ammalare di dolore e di sensi
di colpa, lo sa?”
Valentina
deglutì e per un attimo chiuse gli occhi mentre la sua mente tornò a quella
notte e alla camera d’albergo. A quel pezzo di lei che si era perso per sempre
tra le braccia di lui. E che ora, ne era certa quanto sollevata, non avrebbe
più fatto ritorno. Avrebbe cancellato tutto di Alessio, le linee regolari e
piacevoli del suo volto, il sorriso furbo e il modo in cui i suoi occhi scuri
l’avevano proiettata al centro dell’universo. Dimenticato la trasparenza della
sua voce, l’accento indefinibile e quel modo quasi infantile di raccontare
storie buffe. Sradicato dal suo ventre il brivido di piacere causato dalle sue
labbra. E quell’orda di godimento così incontrollato e intenso che con Mattia
non aveva mai provato. Avrebbe soprattutto dimenticato per sempre il suo
respiro caldo sopra i suoi seni umidi di sudore dopo che lo avevano fatto per
l’ultima volta. E quella frase quasi strozzata e così banale: “ti amo”.
“Mi
sposo tra tre settimane” disse a mezza voce, per focalizzarsi sulla cosa più
importante. La ragione per cui ora era lì, alla clinica Oblio.
“Ne
sono felice” commentò la dottoressa, impegnata a cercare qualcosa in quel
monitor.
“È
che… che non riuscivo più a tenere tutto dentro, stavo scoppiando. Non riuscivo
più a mentirgli” continuò Valentina, la voce rotta “io lo amo. Mattia è tutto
per me. Lui è il mio mondo.”
“Tra
meno di cinque minuti lei non ricorderà più nulla di questo Alessio. E di ciò
che c’è stato tra voi. Il suo sarà un matrimonio felice e senza segreti, glielo
prometto” aggiunse la dottoressa con un ampio sorriso.
Valentina
singhiozzò, mentre una lacrima le rigò una guancia.
“E
non ricorderà nemmeno perché è venuta qui. Quando si alzerà da quella poltrona
sarà convinta di avere rimosso solo un ricordo che la faceva soffrire circa una
persona a lei cara che non c’è più. Può stare tranquilla. E ora chiuda gli
occhi e si rilassi. Non si accorgerà di nulla.”
Valentina
li chiuse e sentì i piccoli tentacoli farsi strada nelle tempie. Fastidio più che
dolore.
“Ecco
fatto” disse la dottoressa qualche secondo dopo. “Può riaprire gli occhi.”
Valentina
li sbarrò e per un attimo rimase abbagliata dalla luce posizionata sopra la sua
testa. Era confusa. Non capiva per quale ragione si trovasse lì seduta.
“Ora
sta meglio?” le chiese la Frost rimuovendole le due piccole sfere dalle tempie.
La
ragazza annuì. Stava bene. Si sentiva leggera e senza preoccupazioni a parte
quella di non comprendere il motivo per cui era venuta in quel luogo. Si
ricordava di essersi recata alla clinica, di aver parlato con la dottoressa e
di essersi seduta sulla poltrona bianca, ma non sapeva spiegarsi perché.
“Ora
il suo lutto è stato rielaborato” disse la Frost.
“Lutto?”
“È
venuta qui per rimuovere un ricordo che la faceva soffrire. Ora però non ci
pensi più. Viva la sua vita serenamente.”
“Posso
andare?”
“Ma
certo. Ma stia attenta ai capogiri”.
Valentina
si alzò. Si sentiva sollevata, felice. Qualunque cosa, qualunque ricordo le
avessero rimosso dalla mente, ora non era importante. Era una sensazione
bellissima. Il suo pensiero andò a Mattia, agli ultimi preparativi per il
matrimonio. Non avevano ancora spedito le partecipazioni e poi c’era da
avvisare subito la wedding planner
delle modifiche che lei e Mattia avevano deciso circa gli addobbi la sera
prima. Lo avrebbe chiamato appena uscita di lì.
Una
domanda le attraversò il cervello all’improvviso come un pedone che senza
preavviso ti si para davanti al parabrezza. Perché lui non l’aveva accompagnata
in clinica? Perché era venuta da sola? In un attimo tutto divenne nero e il suo
corpo smise di avere un peso.
Quando
riprese i sensi si accorse che qualcuno la stava sostenendo. Un uomo robusto, un
infermiere, la fece sedere in una delle poltroncine della sala d’aspetto.
“Stia
qui per una ventina di minuti, ok?” le raccomandò prima di congedarsi. Le
girava la testa, ma una sensazione di benessere le avvolgeva mente e corpo.
Chissà, forse le avevano somministrato qualche strano tranquillante. Qualche
droga. Fece un lungo respiro cercando di mettere a fuoco il tizio seduto
davanti a lei.
Adesso
che iniziava a riprendere il pieno controllo di sé si accorse che il ragazzo di
fronte le stava lanciando strane occhiate come se stesse osservando un
fantasma. Sembrava intimorito. Lo aveva di certo spaventato con quello
spettacolo imbarazzante.
“Non
è doloroso” bofonchiò, sentendosi in dovere di rassicurarlo. “È solo che poi ti
gira la testa. Ma è piacevole”. Le veniva quasi da ridere tanto si sentiva euforica.
Leggera.
“Hai
fatto la rimozione?” Le chiese serio lui. I suoi occhi scuri, profondi, la
scrutarono con attenzione.
“Sì,
ho rimosso un ricordo legato a un lutto”.
“Un
lutto? E di chi?”
“Non
lo so. Non lo ricordo. È per questo che sono qui. Per dimenticare”.
“Dimenticare
un momento legato a una persona a cui hai voluto bene? Non è un po’…”
Egoista.
Valentina era certa che avrebbe voluto aggiungere egoista. Si strinse nelle
spalle. Ora stava meglio e non aveva alcuna intenzione di sentirsi in colpa. Chissà
quanto aveva sofferto per quella perdita prima di prendere la decisione di
venire lì. Osservò il giovane. Aveva circa trent’anni ed era di bell’aspetto.
Decisamente di bell’aspetto.
“E
tu per quale ragione sei qui?”
Lui
esitò un istante. Inclinò il capo per fissarla meglio negli occhi. “Per dimenticare
una.”
Le
venne da ridere. Le sembrava una cosa buffa. Un conto era voler dimenticare un
ricordo spiacevole che rendeva insopportabile la perdita di una persona cara,
un conto era voler scordare qualcuna per cui avevi preso una sbandata. Gli
uomini sono degli immaturi, pensò.
“Ti
ha lasciato?”
Lui
fu lì per dire qualcosa, poi si trattenne.
“Se
non vuoi dirmelo non importa era solo per fare due chiacchiere” commentò
delusa. “Devo aspettare qui ancora per
qualche minuto” aggiunse sbuffando e spostando la sua attenzione all’orologio
alla parete.
“Sì,
boh, non lo so” mugugnò lui in evidente imbarazzo.
“Si,
boh o non lo sai?” Scherzò lei. “Mi pare di capire che non fosse un grande
amore” sentenziò. Si sentiva meglio, la testa aveva smesso di girarle e
ingaggiare quel tizio le dava uno strano piacere.
“Non
posso proprio dire che mi abbia lasciato. La nostra storia è durata solo una
notte.”
“Solo
una notte?”
“Una
notte meravigliosa.”
“E
poi?” chiese divertita.
“Non
c’è stato un poi. La mattina quando mi sono svegliato se n’era già andata”. Il
giovane distolse lo sguardo. “Ma c’è stato un prima. Quella sera abbiamo camminato
a lungo e parlato per ore di cose che si raccontano solo a quegli estranei che ti
sembra di conoscere da una vita. Ti è mai capitato?”
Valentina
scosse la testa. Neanche ubriaca si sarebbe lasciata andare a certe confidenze
con una persona conosciuta da poco.
“Abbiamo
attraversato mezza città senza nemmeno accorgercene. E poi, sfiniti, abbiamo
preso un taxi. Ma nessuno dei due aveva voglia di tornarsene a casa.”
“E
da quella notte non l’hai più rivista?”
“No”
rispose lui dopo un attimo di esitazione.
“Se
sei qui è perché ti ha proprio spezzato il cuore.”
Il
giovane assentì con un lento movimento della testa. Gli occhi fissi nei suoi.
“La
ragazza più straordinaria che abbia mai incontrato. Purtroppo ho saputo che sta
per sposarsi con qualcun altro.”
“Oh,
mio dio” scandì Valentina ridacchiando. Era una storia così grottesca, una cosa
da commedia americana. Che tipo di ragazza poteva mai essere una che mette le
corna al suo futuro marito a pochi giorni dalle nozze? E come si può perdere la
testa per una tipa del genere?
“Non
è per giudicare, ma una così è meglio perderla che trovarla, sai? Anche se
forse dovresti tenerti il ricordo di quella notte. Dopo tutto, per quanto possa
fare male, si tratta di un bel ricordo, ti pare?”
“Mmmh,
sì, forse hai ragione. Comunque ero qui solo per prendere informazioni” disse lui
agitando il depliant che teneva in mano. Era così stropicciato che in quelle
pieghe Valentina poté vedere il tormento di quell’uomo. E per la prima volta
provò tenerezza e non solo una divertita curiosità.
“Comunque
sono bravi, veloci e non è per niente doloroso. Sono un po’ cari, ma se vuoi
toglierti dalla testa questa tizia, se quel ricordo continua a tormentarti, credo
che sia il posto giusto. Poi vedrai che starai meglio. Io comunque sono
Valentina.”
“Alessio,
piacere” disse lui alzandosi in piedi per stringerle la mano e facendole
provare uno strano senso di calore.
“Senti”
azzardò Alessio non senza imbarazzo “ti andrebbe un caffè? Non questo della
macchinetta che fa un po’ schifo, ma al bar qua sotto.”
Valentina
si trattenne dal ridere. Ci stava provando? Ci stava davvero provando con lei?
Era lì per dimenticare una tizia conosciuta una notte e ora stava cercando di
rimorchiarla con la scusa di un caffè. Trovava tutta quella situazione
piuttosto ridicola. Lusinghiera, ma terribilmente ridicola. E un po’ folle.
“Un
caffè?”
“Un
caffè” confermò lui.